Revoca dell'aggiudicazione provvisoria e responsabilità precontrattuale della stazione appaltante

 Nota a Consiglio di Stato, sez. V, del 12 settembre 2023, n. 8273

Procedura di gara – Aggiudicazione provvisoria – Aggiudicazione definitiva – Revoca della procedura di gara e dell’aggiudicazione provvisoria – Legittimità della revoca – Insussistenza profili di illegittimità e risarcitori – Omissione obblighi informativi – Responsabilità precontrattuale – Sussiste – Violazione dell’art. 1338 c.c. – Comportamento della S.A. non improntato a lealtà e correttezza – Risarcibilità del solo interesse “negativo”.

Secondo la costante giurisprudenza amministrativa: «anche in caso di revoca legittima degli atti di aggiudicazione di gara per sopravvenuta indisponibilità di risorse finanziarie può sussistere la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione che abbia tenuto un comportamento contrario ai canoni di buona fede e correttezza soprattutto perché, accortasi delle ragioni che consigliavano di procedere in via di autotutela mediante la revoca della già disposta aggiudicazione, non abbia immediatamente ritirato i propri provvedimenti, prolungando inutilmente lo svolgimento della gara, così inducendo le imprese concorrenti a confidare nelle chances di conseguire l’appalto (Cons. Stato, sez. V, 5 maggio 2016, n. 1797; Cons. Stato, sez. V, 1° febbraio 2013, n. 633)».

Le regole di legittimità amministrativa e quelle di correttezza «operano su piani distinti, uno relativo alla validità degli atti amministrativi e l’altro concernente invece la responsabilità dell’amministrazione e i connessi obblighi di protezione in favore della controparte. Oltre che distinti, i profili in questione sono autonomi e non in rapporto di pregiudizialità, nella misura in cui l’accertamento di validità degli atti impugnati non implica che l’amministrazione sia esente da responsabilità per danni nondimeno subiti dal privato destinatario degli stessi (Cons. Stato, ad. plen., 29 novembre 2021, n. 21)».

La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione può derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, «ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all’esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto, ai doveri di correttezza e buona fede (Cons. Stato, ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5)».

Ai fini della responsabilità precontrattuale «non viene in rilievo l’attività provvedimentale della p.a. (l’esercizio diretto ed immediato del potere) bensì il comportamento (collegato in via indiretta e mediata all’esercizio del potere) complessivamente tenuto dalla stazione appaltante nel corso della gara, di modo che rilevano le regole di diritto privato, la cui violazione non dà vita ad invalidità provvedimentale ma a responsabilità; anche per la p.a. le regole di correttezza e buona fede, così come per i privati, sono regole di responsabilità (Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2020, n. 4514)».

Il caso di specie

La sentenza in esame affronta – tra gli altri – il tema della responsabilità precontrattuale della P.A. Il Giudice, in particolare, con chiara e condivisibile motivazione, ha esposto le ragioni per cui, pur sussistendo un (legittimo) provvedimento di revoca della procedura di gara e dell’aggiudicazione provvisoria (la gara era stata svolta in vigenza del d.lgs. n. 163/2006), ha ritenuto l’amministrazione responsabile dei pregiudizi prodotti all’operatore economico per averlo informato delle difficoltà – di natura finanziaria – insorte e implicanti l’impossibilità di completare l’affidamento (con conseguente venir meno della concreta possibilità di eseguire l’appalto) solo ad anni di distanza dall’aggiudicazione provvisoria.

La vicenda, in concreto, ha riguardato l’affidamento di una gara per la realizzazione di un tronco dell’impianto fognario dell’”Acqua Traversa” ubicato nel Municipio XV di Roma Capitale.

All’esito della competizione, la società (poi ricorrente e appellante) – in data 06.10.2011 – risultava aggiudicataria provvisoria della commessa.

L’amministrazione Capitolina, quindi, avviava la verifica dei requisiti (secondo il disposto degli artt. 11 e 12 d.lgs. n. 163/2006) senza tuttavia concluderla per diversi anni.

Cosa accadeva?

Accadeva che, nel frattempo, entrava in vigore la l. 183 del 2011 (Legge di Stabilità del 2012), nella quale venivano regolati gli stringenti obblighi in materia di patto di stabilità interno (artt. 30-32).

Nel 2013, già evidentemente in ritardo nella definizione della procedura, gli uffici competenti della S.A. domandavano al servizio di ragioneria se l’affidamento in questione potesse essere completato nel rispetto dei principi sul patto di stabilità.

La ragioneria, come riportato nel provvedimento di revoca della gara e dell’aggiudicazione provvisoria (poi impugnato), avrebbe frapposto ostacoli alla chiusura della procedura, proprio in ragione dei suddetti vincoli di bilancio.

Di tale “carteggio”, con le relative difficoltà emerse, non veniva informato (e questo è il punto dolente) l’affidatario (provvisorio) dell’appalto.

Successivamente (siamo nel 2015), lo Stato italiano subiva pure una procedura di infrazione legata proprio alla cattiva gestione degli impianti fognari e di depurazione, circostanza che comportava anche per il Comune di Roma l’avvio di un commissariamento delle opere (tra cui quella in esame).

Così, nel 2016, l’amministrazione della Capitale “riprendeva” in mano la gara domandando alla ditta affidataria la disponibilità alla conclusione della procedura di gara (aggiudicazione definitiva e stipula del contratto) agli stessi prezzi offerti nel 2011 (anno in cui si era tenuto il procedimento di selezione dell’offerta).

Naturalmente, la ditta, essendo trascorsi quasi 5 anni dall’aggiudicazione provvisoria, richiedeva un aggiornamento dei prezzi, il quale però veniva rifiutato dalla P.A. (ciò, secondo la stazione appaltante, avrebbe potuto comportare una sostanziale variazione dell’offerta del 2011 con conseguente possibile violazione della par condicio rispetto agli altri partecipanti alla gara).

A questo punto, nel giugno 2016, la procedura e l’affidamento provvisorio venivano revocati dall’amministrazione. La commessa, per l’effetto, veniva affidata ad ACEA ATO 2 s.p.a., come da indicazione del Commissario di governo.

La decisione del TAR

Contestato il provvedimento della P.A. sotto plurimi motivi, il TAR respingeva il ricorso.

In particolare, il giudice rigettava il gravame sia in merito alla revoca della gara e dell’aggiudicazione provvisoria (non accogliendo le richieste risarcitorie relative all’asserita illegittimità del provvedimento della P.A.), sia con riguardo ai profili risarcitori da responsabilità precontrattuale.

Riguardo tale ultimo aspetto, il collegio, innanzitutto, premetteva che: “…chi contratta con un ente pubblico può pretendere che nelle trattative e nella fase di formazione del contratto l’amministrazione serbi un comportamento improntato ai precetti della buona fede e della normale diligenza ai quali sono tenuti in generale i contraenti al fine di evitare di ingenerare nei terzi, anche se per mera colpa, un ragionevole affidamento poi andato deluso in ordine alla conclusione del contratto. La responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, in particolare, può profilarsi quando risulta che le trattative sono state iniziate e portate avanti senza la diligente verifica della propria disponibilità a concludere il contratto”.

Nella fattispecie, il TAR riteneva che non si fosse verificata alcuna responsabilità di questo tipo.

Segnatamente, non era possibile sostenere che: “…l’amministrazione procedente abbia colposamente avviato e portato avanti le trattative, atteso che nulla lascia ritenere che, al momento dell’indizione della gara, l’affidamento dell’appalto non fosse possibile, mentre sono successivamente intervenute ragioni esogene (il patto di stabilità ed il factum principis connesso all’individuazione di nuove modalità di intervento da parte del commissario di governo) che hanno determinato l’opportunità (o anche la necessità) di non procedere alla aggiudicazione definitiva ed alla conseguente stipulazione del contratto d’appalto”.

In definitiva, sul piano della responsabilità precontrattuale, il TAR non registrava un’assenza di buona fede o diligenza da parte del Comune di Roma, il quale, pertanto, non si sarebbe ingiustificatamente ritirato dalle attività necessarie alla definizione della commessa. Tali attività, infatti, sarebbero state interrotte a causa di eventi “esogeni”, come il patto di stabilità e il commissariamento delle opere (comportante la sostanziale sostituzione dell’amministrazione comunale nella gestione dell’appalto), con conseguente mancata violazione dell’art. 1337 c.c.

La decisione del Consiglio di Stato

Impugnata la sentenza, il Consiglio di Stato ha innanzitutto rigettato il gravame sui profili “annullatori” del provvedimento del Comune di Roma.

In particolare, ha evidenziato come non vi fosse stata – in favore dell’impresa – alcuna “aggiudicazione definitiva” (siamo, lo si ricorda, nell’ambito della disciplina del d.lgs. n. 163/2006), mancando da parte della S.A. la formale conclusione del procedimento di affidamento della commessa mediante l’espressa adozione di un atto formale (e cioè l’aggiudicazione definitiva), non altrimenti sostituibile tramite il “silenzio” configurato (all’epoca) dall’art. 12, comma 1 d.lgs. n. 163/2006.

L’aggiudicazione provvisoria, del resto, ha illustrato il giudice richiamando la giurisprudenza consolidata, è atto endoprocedimentale – instabile e a effetti interinali – che determina una scelta non ancora definitiva del soggetto aggiudicatario. È dunque possibile (costituisce evento del tutto fisiologico) che a una aggiudicazione provvisoria non segua quella definitiva; pertanto, tale aggiudicazione (provvisoria) è inidonea di per sé a ingenerare forme di affidamento tutelabili e dunque un qualsivoglia obbligo risarcitorio (si citano: Cons. Stato, sez. V, 19 agosto 2016, n. 3646; Cons. Stato, sez. V, 9 luglio 2015, n. 3453).

Il giudice d’appello ha poi aggiunto che la natura di atto “interinale”, tipica dell’aggiudicazione provvisoria, non consente di applicare pedissequamente neppure la disciplina dettata dagli artt. 21-quinquies (revoca del provvedimento) e 21-nonies (annullamento d’ufficio) l. n. 241/1990 né il principio del legittimo affidamento.

Il conseguente onere motivazionale del provvedimento – ha ricordato ancora il Consesso – deve essere calibrato in funzione della fase procedimentale in cui interviene il provvedimento di “secondo grado” e, dunque, dell’eventuale affidamento ingenerato nel privato avvantaggiato dall’atto della P.A.: “…l’esplicitazione delle ragioni circa l’interesse pubblico al suddetto ritiro [in questo caso della gara e dell’aggiudicazione provvisoria], in altre parole, varia di intensità a seconda della circostanza che sia intervenuta l’aggiudicazione definitiva (o addirittura la stipula del contratto) ovvero che il procedimento di valutazione comparativa concorrenziale non sia ancora completamente giunto a termine (TAR Perugia, sez. I, 16 giugno 2011, n. 172)”.

Fatte queste premesse, valutato positivamente l’apparato motivazionale della revoca della gara e dell’aggiudicazione provvisoria, il Consiglio di Stato ha rigettato i profili risarcitori connessi al provvedimento dell’amministrazione.

Più specificamente: “…dalla conclamata legittimità dell’atto di revoca […] inevitabilmente discende l’impossibilità di accogliere ogni conseguente richiesta risarcitoria legata alla pur invocata lesione del legittimo affidamento. Ed ancora non possono trovare ingresso le poste risarcitorie invocate a titolo di mancata realizzazione dell’utile da esecuzione dell’appalto, né il riconoscimento del danno curricolare, voci queste che implicano come detto la illegittimità dell’atto di autotutela (revoca) qui invece pacificamente esclusa per le ragioni sopra partitamente evidenziate. E ciò in disparte ogni considerazione circa la inammissibilità, in ogni caso, di liquidazioni del danno in via forfettaria come espressamente richiesto dalla difesa di parte appellante (10% importo a base d’asta per utile e 3% su base d’asta per danni curricolari)”.

Sul tema della responsabilità precontrattuale della P.A., invece, il giudice d’appello ha riformato la sentenza di prime cure riconoscendo la colpa dell’amministrazione Capitolina.

Secondo il giudice, innanzitutto, le difficoltà legate al rispetto del patto di stabilità interno (la cui entrata in vigore, nel 2011, aveva di fatto bloccato la conclusione della procedura di affidamento) erano note ai competenti uffici – secondo quanto provato in giudizio – almeno dal 2013.

Tuttavia, di tali difficoltà, il Comune non aveva mai reso edotto l’appellante, se non in occasione della revoca della gara e dell’aggiudicazione provvisoria (intervenuta nel 2016).

Per il Consiglio di Stato, il patto di stabilità – da ritenersi conosciuto dalle parti – sebbene costituisse una (legittima) causa ostativa alla definizione dell’appalto, prevedeva ipotesi derogatorie che l’amministrazione avrebbe dovuto valutare ai fini della (eventuale) loro applicazione all’appalto in questione.

Di tali profili – nel contesto di un dialogo con la stazione appaltante – l’operatore economico avrebbe dovuto essere informato prima della revoca degli atti di gara e dell’aggiudicazione provvisoria.

Più specificamente, secondo il giudice, il patto di stabilità: “…non costituiva una causa ostativa in termini assoluti ma soltanto un elemento tecnicamente valutabile ad opera degli uffici strettamente competenti (tra l’altro non tutti, e neppure quelli deputati alla esecuzione concreta dell’opera […], ma soltanto quelli specificamente deputati alle politiche di bilancio come per l’appunto la ragioneria comunale). In altre parole, la causa ostativa era solo genericamente ma non anche specificamente conoscibile, ossia con riguardo alla sua effettiva applicazione al caso di specie, da tutte le parti in causa: di qui l’impossibilità di ricorrere alla causa esimente relativa alla doverosa conoscenza di una norma impeditiva”.

In questa direzione, dunque, il Collegio ha ravvisato: “…evidenti profili di responsabilità di tipo precontrattuale a carico del Comune di Roma per comportamento scorretto nella fase delle trattative. Ciò in quanto il tratto procedimentale che ha seguito l’aggiudicazione provvisoria è stato caratterizzato da superficialità e disattenzione nel non rendere tempestivamente e puntualmente edotta la parte appellante circa la difficoltà di natura finanziaria medio tempore sorte in ordine alla possibilità di eseguire concretamente l’appalto. Di qui il venir meno agli obblighi di lealtà e correttezza”.

La revoca, pertanto: “…è stata in sé legittima ma il comportamento complessivamente tenuto dal Comune di Roma non è risultato improntato alla massima lealtà e correttezza, avendo taciuto per tre anni la sussistenza di cause seriamente ostative alla definizione della procedura avviata nel 2010”.

Da qui, in definitiva, il riconoscimento della risarcibilità dell’interesse c.d. negativo dell’operatore economico (su cui si v. Cons. Stato, sez. V, 12 luglio 2021, n. 5274) e, segnatamente, delle spese sostenute per la partecipazione alla gara, riguardanti, in particolare, quelle amministrative/progettuali e per stipendi corrisposti ante procedura (costo personale tecnico e amministrativo impiegato nella preparazione della gara).

Brevi profili ricostruttivi

Come è noto, fino all’entra in vigore del d.lgs. n. 50/2016, la fase dell’aggiudicazione era articolata in provvisoria e definitiva (si v. artt. 11 e 12 d.lgs. n. 163/2006).

Tale articolazione aveva fatto emergere numerose questioni interpretative, tra cui quelle pertinenti la relazione intercorrente tra i due atti, la rispettiva natura giuridica, l’eventuale impugnabilità dell’aggiudicazione provvisoria e, per quanto ci riguarda, la tutela dell’affidamento del concorrente incolpevole.

L’aggiudicazione provvisoria, in particolare, consisteva nella dichiarazione (della stazione appaltante) riguardo l’individuazione della migliore offerta (a contenuto non anomalo) intervenuta in esito all’esame svolto dalla commissione giudicatrice (ma la stessa cosa, in realtà, riguardava anche l’attività svolta dal seggio di gara nel mono criterio).

L’aggiudicazione definitiva – da adottarsi con un provvedimento espresso – interveniva (ai sensi dell’art. 11, comma 5 e art. 12, comma 1 d.lgs. n. 163/2006) solo dopo l’approvazione dell’organo competente, secondo l’ordinamento della S.A., nel rispetto dei termini previsti dalle singole amministrazioni (in mancanza il termine era di 30 giorni), decorrenti dal ricevimento dell’aggiudicazione provvisoria proveniente della commissione giudicatrice o seggio di gara.

L’approvazione, in questo caso, consisteva per lo più in verifiche formali sulla correttezza del procedimento seguito per giungere all’individuazione della migliore offerta.

Quanto ai rapporti tra i due atti (aggiudicazione provvisoria – aggiudicazione definitiva), la giurisprudenza rimarcava costantemente l’autonomia dell’una rispetto all’altra.

L’aggiudicazione definitiva non era considerata un atto meramente confermativo o esecutivo dell’aggiudicazione provvisoria, ma un vero e proprio (distinto) provvedimento amministrativo (anche qualora riportasse pedissequamente il contenuto dell’aggiudicazione provvisoria). Pertanto, presupponeva una nuova e autonoma valutazione tanto del procedimento amministrativo svolto per l’individuazione della migliore offerta, quanto dell’interesse dell’amministrazione alla definizione della procedura e dunque alla stipula del contratto.

L’aggiudicazione definitiva, infine, diveniva efficace solo dopo la verifica dei requisiti generali e speciali (art. 11, comma 8 d.lgs. n. 163/2006).

Da quanto precede, se ne deduceva: a) l’ammissibilità dell’impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria – ritenuta facoltativa – e l’ammissibilità dell’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva anche se non fosse stata previamente impugnata quella provvisoria (si v. Cons. Stato, sez. VI, 13 giugno 2013, n. 3310); b) la necessità dell’impugnativa autonoma (magari con motivi aggiunti) dell’aggiudicazione definitiva, nonostante la precedente contestazione giudiziale dell’aggiudicazione provvisoria (Cons. Stato, ad. plen., 31 luglio 2012, n. 31).

Riguardo, invece, la natura dell’aggiudicazione provvisoria, la giurisprudenza ne riconosceva il carattere sostanzialmente endoprocedimentale, con le necessarie conseguenze per cui l’eventuale annullamento d’ufficio o la revoca non avrebbero dovuto essere preceduti dall’avviso di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 l. n. 241/1990.

Infine, sulla tutela giurisdizionale, la giurisprudenza attestava l’autonoma capacità lesiva dell’aggiudicazione provvisoria, ritenuta (sebbene atto endoprocedimentale) a provocare un arresto della procedura, inibendo, tra l’altro, “all’impresa non aggiudicataria l’ulteriore partecipazione al procedimento”. Da ciò ne derivava l’immediata impugnabilità (anche se facoltativa) dell’atto (fermo, comunque, l’onere di impugnare nei termini previsti la successiva aggiudicazione definitiva disposta in favore dell’operatore controinteressato, pena l’improcedibilità del ricorso incardinato nei riguardi dell’aggiudicazione provvisoria).

Il Codice del 2016 non ha più distinto tra aggiudicazione provvisoria e definitiva.

L’aggiudicazione provvisoria è stata sostituita con la “proposta di aggiudicazione” e l’aggiudicazione definitiva è divenuta semplicemente “aggiudicazione”.

Ai sensi dell’art. 33, comma 1 d.lgs. n. 50/2016: “La proposta di aggiudicazione è soggetta ad approvazione dell’organo competente secondo l’ordinamento della stazione appaltante e nel rispetto dei termini dallo stesso previsti, decorrenti dal ricevimento della proposta di aggiudicazione da parte dell’organo competente. In mancanza, il termine è pari a trenta giorni. Il termine è interrotto dalla richiesta di chiarimenti o documenti e inizia nuovamente a decorrere da quando i chiarimenti o documenti pervengono all’organo richiedente. Decorsi tali termini, la proposta di aggiudicazione si intende approvata”.

Anche nel Codice del 2016 è stata prevista una fase ulteriore (analoga a quella indicata nell’art. 11, comma 5 d.lgs. n. 163/2006) secondo cui: “La stazione appaltante, previa verifica della proposta di aggiudicazione ai sensi dell’articolo 33, comma 1, provvede all’aggiudicazione” (art. 32, comma 5). Infine, pure nel d.lgs. n. 50/2016 l’efficacia dell’aggiudicazione è stata demandata a un’attività di controllo: “La stazione appaltante, previa verifica della proposta di aggiudicazione ai sensi dell’articolo 33, comma 1, provvede all’aggiudicazione” (art. 32, comma 5 d.lgs. n. 50/2016).

L’impostazione del 2016, pur essendo in parte analoga a quella del 2006, ha avuto il pregio di superare i contrasti intervenuti in passato in merito all’impugnabilità immediata dell’aggiudicazione provvisoria.

La proposta di aggiudicazione (proprio perché solo “proposta”), priva di contenuto decisorio, è destinata (o meglio, era destinata) a essere assorbita nell’atto finale della procedura (l’aggiudicazione), che è rimasto l’unico di natura provvedimentale da impugnare nei termini stabiliti.

In questo quadro, in merito al tema della responsabilità precontrattuale, la proposta di aggiudicazione faceva nascere solamente una mera aspettativa in capo all’interessato alla positiva definizione del procedimento, condizione non tutelabile e sostanzialmente irrilevante ai fini della responsabilità precontrattuale (anche se la giurisprudenza ha stabilito che la verifica di un affidamento ragionevole sulla conclusione positiva della procedura di gara – a prescindere dalla fase in cui la stessa si trovi – andrebbe svolta in concreto: Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3831, richiamato da Cons. Stato, sez. V, 12 settembre 2023, n. 8294; dirimente, allora, diviene l’indagine sul momento idoneo a far sorgere il legittimo affidamento nonché sulle caratteristiche connaturanti lo stesso, temi sui quali si è soffermata anche l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato: 5 settembre 2005, n. 6 e n. 5/2018, cit. Sul momento in cui sorge il legittimo affidamento va evidenziato come la Cassazione abbia ripetutamente riconosciuto la responsabilità precontrattuale della stazione appaltante: “…a prescindere dalla prova dell’eventuale diritto all’aggiudicazione del partecipante”: ex multis, Cass. civ. sez. I, 3 luglio 2014, n. 15260).

Nella proposta, quindi, non si individuava l’atto conclusivo della procedura di evidenza pubblica, avendo per sua natura un’efficacia destinata a essere superata dal provvedimento di aggiudicazione (questo sì a efficacia “esterna” e dunque immediatamente impugnabile).

Con la riforma del 2016, l’indagine sulla responsabilità precontrattuale della P.A. si è spostata soprattutto sui provvedimenti di “secondo grado” (annullamento d’ufficio o revoca) incidenti sull’aggiudicazione.

A tal riguardo, la giurisprudenza ha chiarito che: “…anche in caso di revoca legittima degli atti di aggiudicazione di gara [ma lo stesso vale in ipotesi di annullamento d’ufficio: si cfr. Cons. Stato, sez. III, 12 ottobre 2023, n. 8893] può sussistere una responsabilità in capo all’amministrazione che abbia tenuto un comportamento contrario ai canoni di buona fede e correttezza, inducendo le imprese concorrenti a confidare nelle chances di conseguire l’appalto (già Cons. Stato, sez. V, 5 maggio 2016, n. 1797; Cons. Stato, sez. V, 1° febbraio 2013, n. 633)” (Cons. Stato, sez. V, 3 novembre 2023, n. 9494).

Ciò in ragione del principio per cui: “…le regole di legittimità amministrativa e quelle di correttezza operano su piani distinti, uno relativo alla validità degli atti amministrativi e l’altro concernente invece la responsabilità dell’amministrazione e i connessi obblighi di protezione in favore della controparte” (Cons. Stato, ad. plen., 29 novembre 2021, n. 21, richiamata, da ultimo, da Cons. Stato, sez. V, 12 settembre 2023, n. 8273).

In questa direzione, pertanto: “non viene in rilievo l’attività provvedimentale della p.a. (l’esercizio diretto ed immediato del potere) bensì il comportamento (collegato in via indiretta e mediata all’esercizio del potere) complessivamente tenuto dalla stazione appaltante nel corso della gara, di modo che rilevano le regole di diritto privato la cui violazione non dà vita ad invalidità provvedimentale, ma a responsabilità; anche per la p.a. le regole di correttezza e buona fede così come per i privati sono regole di responsabilità” (Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2020, n. 4514).

Naturalmente, come nel sistema governato dal Codice del 2006 (in ossequio ai principi in materia derivanti dal codice civile: art. 2967), a chi agiva (e agisce) in giudizio per il risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale, con termine di prescrizione quinquennale (si v. Cons. Stato, sez. V, 5 settembre 2023, n. 8171), spettava (e spetta ancora oggi) dimostrare la sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito, vale a dire: il proprio affidamento incolpevole (sulla regolarità della procedura e, in particolare, sulla validità dell’aggiudicazione) e la lesione di tale affidamento determinata da una condotta contraria ai doveri di correttezza e lealtà della pubblica amministrazione; la lesione della libertà di autodeterminazione; il pregiudizio economico sofferto e il nesso causale tra questi e la condotta scorretta imputata alla P.A. (secondo i tradizionali canoni del dolo o della colpa: si v. Cons. Stato, ad. plen., n. 5/2018, cit.; sul tema, si v. pure Cass. civ., sez. III, 18 maggio 2016, n. 10156).

Il quadro attuale

Nel Codice del 2023 viene confermata l’impostazione del d.lgs. n. 50/2016. L’attuale testo di legge non distingue tra aggiudicazione provvisoria e definitiva, prevedendo all’art. 17 che: “…l’organo preposto alla valutazione delle offerte predispone la proposta di aggiudicazione alla migliore offerta non anomala”.

Nel d.lgs. n. 36/2023 cambiano (in parte) gli steps che dalla proposta di aggiudicazione giungono all’affidamento efficace.

Infatti, nel nuovo Codice, di seguito alla formulazione della proposta, la P.A. è chiamata a svolgere – ai sensi del comma 5 dell’art. 17 – un’attività prima riconducibile a due differenti momenti: quello di cui all’art. 33 (d.lgs. n. 50/2016) e quello ex art. 32, comma 5 (sempre d.lgs. n. 50/2016). Di conseguenza, l’organo preposto a disporre l’aggiudicazione (la stazione appaltante), anche attraverso l’ausilio del RUP, dovrà controllare (nella stessa fase) legittimità e interesse (verso l’affidamento) e requisiti (di partecipazione ed esecuzione) dell’operatore economico.

L’esito rimane lo stesso: al termine dei controlli stabiliti dall’art. 17 (i quali, per la verità, non prevedono un termine per il loro compimento), la proposta di aggiudicazione (atto interno) diverrà aggiudicazione immediatamente efficace.

Muta, invece, la funzione della “approvazione” (laddove prevista). Se nel Codice del 2016 era una fase precedente e propedeutica all’aggiudicazione, nel Codice attuale diviene condizione risolutiva del contratto sottoscritto (quindi, espressione di un potere più contrattuale che amministrativo), prerogativa che dovrà essere esercitata entro 30 giorni dalla stipula. Decorso tale termine, il contratto si intenderà (per silenzio) approvato.

Sul tema della responsabilità precontrattuale della P.A. in materia di contratti pubblici, infine, possiamo sostenere come gli approdi della giurisprudenza afferenti il vecchio Codice siano applicabili pure alle fattispecie regolate dal d.lgs. n. 36/2023

A sostegno di questa tesi milita sia la sostanziale analogia della struttura del procedimento amministrativo contrattuale – oggi, come si è detto, regolata dall’art. 17 – ma, soprattutto, la definitiva constatazione (nella giurisprudenza) che l’assunto: “…i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede” (art. 1, comma 2 bis l. n. 241/1990) è ontologicamente connaturato a una concezione del procedimento amministrativo inteso quale luogo di composizione del conflitto tra l’interesse pubblico primario e gli altri interessi, pubblici e privati, coinvolti nell’esercizio del primo.

Il dovere di collaborazione e di comportamento secondo buona fede enunciato dall’art. 1337 c.c. (di cui l’art. 1338 c.c. costituisce norma applicativa) – di portata bilaterale perché sorge nell’ambito di una relazione che, sebbene asimmetrica, è nondimeno partecipata (così Cons. Stato, sez. V, n. 8294, cit.) – svincolato dallo “stato” del procedimento amministrativo, assoggetta tutto l’agire della P.A. Non residuano, così, spazi o ambiti “neutrali”, nei quali – a priori e senza una valutazione caso per caso – possa escludersi con certezza la presenza di elementi idonei a integrare ipotesi di responsabilità precontrattuale della P.A.

A queste considerazioni si aggiunge, oggi, anche il dato “positivo” del Codice.

Tra i principi generali rilevano, infatti, proprio quelli di buona fede e tutela dell’affidamento (che si collegano, invero, a un altro principio cardine della contrattualistica pubblica e non solo: quello della fiducia – art. 2).

In particolare, l’art. 5 stabilisce che nelle procedure di gara: “…le stazioni appaltanti, gli enti concedenti e gli operatori economici si comportano reciprocamente nel rispetto dei principi di buona fede e di tutela dell’affidamento” (comma 1).

Nell’ambito del procedimento di gara, specifica poi il comma 2: “…anche prima dell’aggiudicazione, sussiste un affidamento dell’operatore economico sul legittimo esercizio del potere e sulla conformità del comportamento amministrativo al principio di buona fede”.

Il Codice, al comma 3 dell’art. 5, si preoccupa (correttamente) anche di limitare gli effetti  (non l’ambito di operatività) dell’affidamento, sottolineando che, in caso di aggiudicazione annullata su ricorso di terzi o in autotutela: “…l’affidamento non si considera incolpevole se l’illegittimità è agevolmente rilevabile in base alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti”. Nei casi in cui non spetta l’aggiudicazione, invece: “…il danno da lesione dell’affidamento è limitato ai pregiudizi economici effettivamente subiti e provati, derivanti dall’interferenza del comportamento scorretto sulle scelte contrattuali dell’operatore economico”.

Infine, sempre l’art. 5 introduce un nuovo e importante aspetto nella dinamica dei rapporti tra stazione appaltante e operatori economici. Il comma 4 stabilisce che: “Ai fini dell’azione di rivalsa della stazione appaltante o dell’ente concedente condannati al risarcimento del danno a favore del terzo pretermesso, resta ferma la concorrente responsabilità dell’operatore economico che ha conseguito l’aggiudicazione illegittima con un comportamento illecito”.

Il comportamento illecito di cui tratta la norma (finalizzata evidentemente a contenere i pregiudizi economici subiti dalla P.A. per aver risarcito danni – in forma equivalente – a operatori che, nonostante l’aggiudicazione illegittima, non siano potuti subentrare nella gestione dell’appalto) si riferisce, probabilmente, a tutti quei contegni (dei partecipanti al procedimento di evidenza pubblica) in grado alterare il flusso di informazioni fornite all’amministrazione nel contesto della gara, sviandone gli esiti finali.

Dunque, applicando questi concetti al caso di specie, con il nuovo Codice si stabilisce una relazione biunivoca della responsabilità precontrattuale, la quale costituirà la “sanzione” per quei contegni illeciti (questa volta degli operatori economici) ritenuti idonei a incidere sulle clausole generali di buona fede e correttezza (alle quali, infatti, si correlano i concetti di responsabilità civile e ristoro dei danni) nei rapporti con la pubblica amministrazione.