Zes unica alla prova dell'autonomia nella programmazione e del regionalismo differenziato

 Il Mezzogiorno espunto dalla Costituzione revisionata nel 2001 è rientrato dalla porta principale delle politiche solidaristiche e agevolative del Governo. Lo ha fatto con il Dl per il Sud 124/2023, divenuto da poco legge dello Stato (legge n. 162 del 13 novembre scorso).


 Un Mezzogiorno diverso dal solito

Tuttavia, il Mezzogiorno è stato (ri)concretizzato in una composizione geografica monca di quella parte del Lazio a sud di Frosinone, che godette più che altrove dei benefici erogati dalla allora Cassa del Mezzogiorno.

Insomma, un Mezzogiorno a otto che comprende Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, sotto l’effigia di Zes Unica.

Una ratio, quella di costituire una Zes unica nazionale, che dà un ampio riconoscimento alle ragioni che imposero ai Padri costituenti di renderlo elemento interiorizzato della Carta costituzionale. Ciò nella logica di volere dare attuazione ai valori della solidarietà e di una rinnovata attenzione a favorire una tangibile unità economica nazionale attraverso il ricorso a una programmazione di risorse comunemente destinate dall’Ue alle regioni in ritardo.

Una regola ripristinata che, da una parte, consentirebbe uno sviluppo comune alle anzidette Regioni costrette così ad esercitare politiche favorevolmente aggressive contro le cause dei ritardi che ne hanno rallentato la crescita e, dall’altra, alleggerirebbe attraverso il conseguimento, nel tempo, dello sviluppo il peso della perequazione gravante sull’imposizione generale a compensazione della attuale povertà di gettito fiscale territoriale.


 Una occasione per accelerare, ma non in curva

Una condizione teoricamente ideale che impone, finalmente, investimenti, caratterizzati da una unicità progettuale e una crescita unitaria, difficile da conseguire ma più possibile rispetto a ieri.

Le domande da porsi sono diverse.

Prioritariamente cosa significhi Zes Unica e cosa comporti. Zes Unica per il Mezzogiorno, oltre che recuperare l’errore di averle istituite per dividere di più quanto negativamente differenziato, è funzionale a generare un sistema di governance monolitico, basato su una struttura unica nazionale funzionale a semplificare e razionalizzare gli interventi, attraverso politiche di coordinamento. Ciò senza alterare minimamente l’autonomia delle Regioni e degli enti locali. Questi infatti rimarranno sempre i protagonisti delle opportunità di investimento. Un ruolo difficile a comprendersi se non si tiene nel debito conto di che cosa sia nel concreto lo strumento operativo denominato Piano strategico di sviluppo della Zes che reca, a valle, consistenti benefici fiscali e semplificazioni procedurali per le imprese che decideranno di insediarsi e per quelle già esistenti. Alla luce di siffatte agevolazioni, la Zes Unica si rende garante di politiche coordinate che specializzino i singoli territori regionali, sulla base delle loro peculiarità territoriali e delle infrastrutture liberamente programmate attraverso anche il ricorso alle risorse del Pnrr.

 

Dubbi comuni

Vengono pertanto a porsi degli interrogativi più specifici ai quali fornire le risposte adeguate. Essi riguardano: le modalità di sviluppo del progetto industriale della Zes Unica; la sua direzione affidata a una Cabina di regia istituita presso la Presidenza del Consiglio con funzioni di indirizzo, coordinamento, vigilanza e monitoraggio, cui competerà al suo esordio la redazione del regolamento di organizzazione dei lavori; la sua durata; i settori, eventualmente privilegiati, di intervento produttivo e quelli esclusi; l’entità e il percorso, infine, di godimento delle agevolazioni incentivanti e delle semplificazioni amministrative.

Il piano industriale è dimostrativo della visione strategica di somma, nel senso di riassunzione delle linee delle Regioni tradotte in una azione unitaria e coordinata della durata di un triennio, a partire dal 1° gennaio 2024. I settori di intervento strategico sono tutti quelli capaci di sviluppare e rafforzare, in modo organico, la capacità produttiva del Mezzogiorno, rendendolo massimamente attrattivo per le nuove iniziative, specie di grande portata, determinanti un sensibile incremento del patrimonio produttivo, culturale e naturale. Gli incentivi e le facilitazioni sono segnatamente interessanti, atteso che riguardano importanti crediti di imposta godibili a seguito degli investimenti realizzati e sostegni finanziari ai relativi progetti avviati dalle imprese finalizzati a generare incremento nell’area della Zes Unica.

Tra le semplificazioni amministrative presiede l’autorizzazione unica per l’avvio delle attività produttive e il riconoscimento, a tutto il 2026, dell’anzidetto credito di imposta, previsto nella misura massima consentita dalla Carta degli aiuti a finalità regionale 2022-2027 notificata all’UE (di gran lunga più consistenti di quella scaduta 2014-2020), operante a fronte dell’acquisizione di beni nuovi strumentali alla produzione. Tali benefit erariali saranno differenziati, maggiori per Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, medi per Basilicata, Molise e Sardegna, più bassi per l’Abruzzo

 Autonomia nella programmazione e condizioni diseguali tra Regioni ordinarie e a statuto speciale

La costituzione della Zes Unica pone tuttavia la necessità di una considerazione, che è primaria per il suo buon esito. Essa riguarda le attività che ciascuna Regione dovrà svolgere in termini di definizione delle proprie politiche, garanti della rispettiva autonomia e – per quanto riguarda la Sardegna e la Sicilia – della loro specialità statutaria, e dei limiti che imporrà il progetto di sviluppo unitario della Zes Unica alla loro programmazione ordinaria. Un evento che, così come se ne discute di sovente, sembra assumere sempre di più la previsione di un acconto alla costituzione di una macro-Regione del Mezzogiorno. Una osservazione che assume però una maggiore preoccupante importanza per la velocità del suo esordio, prevista per l’inizio del prossimo anno, e la brevità del godimento relativo, peraltro in netta coincidenza con gli interventi del Pnrr, dei quali invero si sa poco o nulla. Al riguardo, un problema sarà quello di affrontare il tema delle gare già in via di perfezionamento da parte delle vecchie Zes regionali o comunque di loro interessamento.

Un altro tema da affrontare, e presto, sarà quello di riconsiderare la previsione applicativa della Zes Unica con quella attuativa del regionalismo differenziato, che potrebbe offrire l’occasione (se e quando possibile a seguito della legge attuativa dell’articolo 116, comma 3, della Costituzione) alle Regioni ordinarie di ragionare su una rivendicazione comune delle materie soggette a differenziazione in modo da raggiungere una sorta di omogeneità legislativa con quelle a statuto speciale. Una necessità, questa, per dare più legittimazione al Ponte sullo Stretto da parte della Regione Calabria.

Quanto alle previsioni occupazionali ad hoc risultano interessanti: circa 2.500 unità, di cui 71 al Dipartimento per le politiche di coesione di Palazzo Chigi e 266 a tempo determinato, a fronte delle quali insorge qualche sospetto sulla idoneità delle procedure assunzionali.