Conferenza di servizi, se la Soprintendenza tace non può più «co-decidere» sul progetto

 Palazzo Spada affronta e liquida definitivamente l’orientamento interpretativo (sostenuto da ministero e avvocatura) contrario all’applicazione del silenzio assenso orizzontale al parere paesaggistico

 «L’istituto del silenzio assenso orizzontale è applicabile anche al parere della Soprintendenza». «Il parere della Soprintendenza reso tardivamente nell’ambito di una conferenza di servizi è tamquam non esset». Questi due principi rappresentano il principale distillato di una lunga e articolata pronuncia (n.8610/2023) del Consiglio di Stato con la quale i giudici della Quarta Sezione affrontano il tema dei limiti e delle condizioni per l’esercizio del potere di tutela del paesaggio - interesse “sensibile” e costituzionalmente tutelato - che la Soprintendenza esercita partecipando alla “co-decisione” sui progetti in conferenza di servizi.

Il riferimento normativo è all’articolo 14-bis e, soprattutto, all’articolo 17-bis della legge 241/90 (come “novellata” nel 2015), che appunto riguarda la fase della “co-decisone” sul progetto tra le amministrazioni coinvolte. Va subito detto - e anche i giudici ci tengono a ribadirlo - che il dettato della legge è abbastanza chiaro. «Le Amministrazioni preposte alla tutela degli interessi sensibili beneficiano di un termine diverso (quello previsto dalla normativa di settore o, in mancanza, del termine di novanta giorni), scaduto il quale sono, tuttavia, sottoposte alla regola generale del silenzio assenso», dice in sostanza il comma 3 dell’articolo 17-bis. Peraltro, nella controversia specifica, il Tar Campania (Salerno) non ha dubbi nell’accogliere il ricorso dell’interessato contro il diniego al progetto discusso in conferenza di servizi, a causa di un parere negativo della Soprintendenza arrivato oltre il termine di legge. Allo stesso tempo i giudici del Tar escludono, contrariamente al parere del ministero dei Beni culturali, che possa applicarsi il testo unico (articolo 25 del Dlgs 42/2004) e che in materia di paesaggio occorra sempre un provvedimento espresso, con eventualmente la possibilità per il privato di impugnare il silenzio inadempimento.

La lunga e articolata pronuncia dà conto di orientamenti contrastanti sulla questione. Per meglio dire: a fronte dell’orientamento in linea con i principi introdotti dal legislatore a partire dalla legge 241/90 - affermati anche da Tar e Consiglio di Stato nella controversia in argomento - sopravvive un altro orientamento. Orientamento secondo cui il silenzio assenso continuerebbe a non essere applicabile a una amministrazione preposta alla cura di un interesse sensibile come il paesaggio (o beni culturali, ambiente e salute). Ne discenderebbe che, anche quando arriva dopo il termine, il parere della Soprintendenza, pur perdendo vincolatività, «resta efficace e fonda comunque l’obbligo comunale di esame e di motivazione in caso di dissenso». In sostanza, chi aderisce a questo orientamento “rifiuta” per così dire la portata innovativa della riforma Madia del 2015 - e la relativa «attenuazione della rilevanza delle tutela paesaggistica»; e questo nella convinzione che la tutela del paesaggio «si basa su un espresso principio costituzionale». Inoltre, il ministero dei Beni culturali e l’avvocatura, sostengono che «da un costante indirizzo interpretativo del Consiglio di Stato si ricaverebbe, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, che l’art. 17-bis della l. 241/90, relativo al silenzio assenso endo-procedimentale, si applica soltanto ai rapporti orizzontali tra amministrazioni e non anche al procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, che invece si caratterizzerebbe come un procedimento mono-strutturato, in cui prevale la volontà di una singola pubblica amministrazione».

La “demolizione” di questo orientamento - e della base giuridica che lo sostiene - occupa le 48 pagine della sentenza scritta dai giudici della Quarta Sezione. Sentenza nella quale, peraltro, i giudici non mancano di ricordare che solo due anni prima, la stessa Sezione aveva emesso una sentenza (n.2640/2021) a favore dell’orientamento “perdente”, oggi censurato.

In conclusione, si ribadisce - con l’ambizione di farlo una volta per tutte - che anche le decisioni che coinvolgono un interesse sensibile come il paesaggio, assunte avvalendosi dell’istituto del silenzio assenso orizzontale, devono rispettare i termini fissati dalla legge. Diversamente si esporrebbe il promotore a un indebito dirigismo burocratico. «Il legislatore - ricordano i giudici - attraverso gli istituti di semplificazione in esame (17-bis e 14-bis) ha cercato di raggiungere un delicato punto di equilibrio tra la tutela degli interessi sensibili e la, parimenti avvertita, esigenza di garantire una risposta (positiva o negativa) entro termini ragionevoli all’operatore economico, che, diversamente, rimarrebbe esposto al rischio dell’omissione burocratica. La protezione del valore paesaggistico attribuisce, infatti, all’autorità tutoria non solo diritti ma anche “doveri e responsabilità”. In tale composito quadro, la competenza della Soprintendenza resta garantita sia pure entro termini stringenti entro i quali deve esercitare la propria funzione». All’amministrazione, ricorda infine la pronuncia, resta solo la possibilità, «definita dal legislatore, di «agire in autotutela secondo il principio del contrarius actus».