Rating di impresa, commissari di gara, qualificazione Pa: i buchi neri del codice appalti (attuato a metà)

 PDFAttuazione del codice appalti: la tabella con il bilancio aggiornato dei decreti

A quasi tre anni dalla riforma dei 62 decreti previsti dal Dlgs 50/2016 sono 29 hanno tagliato il traguardo della Gazzetta: il bilancio aggiornato

I nuovi numeri dicono che il codice appalti è stato attuato a metà. Ma forse il dato numerico non dice tutta la verità. E il bilancio a tre anni dall' approvazione della riforma che avrebbe dovuto garantire più efficienza e trasparenza, dicendo basta a deroghe e commissari straordinari, rischia di essere ancora più povero di quanto emerga dai dati. Dei 62 provvedimenti necessari per far atterrare completamente sul mercato la riforma del 2016 (rimaneggiata già un anno dopo) al momento solo 29 hanno tagliato il traguardo della Gazzetta Ufficiale, diventando pienamente operativi. Si tratta di poco meno del 50 per cento (qui la tabella con la situazione aggiornata decreto per decreto).

Il fatto è che tra i provvedimenti varati (9 dal Mit, 11 tra Dpcm e altri ministeri, 9 dall'Anac, autrice anche di altre 7 linee guida non esplicitamente previste da articoli del codice) ci sono molte norme dall'impatto innovativo molto marginale insieme a qualche norma-manifesto. Come il decreto sul Bim, che per ora si applica solo agli appalti oltre 100 milioni, o il débat public che andrebbe testato su nuove grandi infrastrutture di cui non si vede traccia all'orizzonte. I pilastri che avrebbero dovuto sorreggere e dare forza al nuovo impianto sono invece rimasti in un cassetto. Trasformandosi in una sorta di buchi neri che hanno risucchiato il vigore innovativo cui era legata la scommessa del nuovo codice e lasciato sul campo solo le difficoltà quotidiane degli uffici ad adeguarsi alle nuove direttive, senza il salvagente di un adeguato periodo transitorio.

Il primo grande annuncio mancato è la qualificazione delle stazioni appaltanti. L'obiettivo era dare spalle più larghe alle amministrazioni, sforbiciando di netto il numero degli enti abilitati a mandare in gara gli appalti, anche attraverso la definizione di criteri minimi di professionalità dei dipendenti. Il decreto che avrebbe dovuto esercitare il taglio, facendo scendere dalle attuali 35-38mila a circa 6mila le stazioni appaltanti è stato per mesi impegnato in un ping pong tra ministeri e Palazzo Chigi e non ha mai visto la luce. L'altra grande incompiuta è il rinnovamento delle formule di qualificazione delle imprese. All'inizio si era parlato di rivedere per intero il sistema delle Soa (le società private che rilasciano il lasciapassare ai costruttori interessati agli appalti pubblici), in passato oggetto di diverse indagini della magistratura. Il progetto è stato lasciato cadere, anche perché il mercato (in origine presidiato da 67 società ora scese a 18) sembra aver trovato un assetto più stabile.

Niente da fare anche per il rating di impresa, che avrebbe dovuto fare da contraltare alla qualificazione delle stazioni appaltanti, fotografando in tempo reale l'affidabilità dei costruttori. L'Anac ha provato a implementare il sistema, ma ha dovuto fare i conti con le difficoltà a calare l'idea nella realtà del mercato: la prima versione delle linee guida è stata ritirata, la seconda è stata messa in consultazione a maggio 2018 senza ulteriori sviluppi. 

Dovrebbe essere invece vicino il momento dell'avvio operativo dell'albo dei commissari di gara. La nuova data di partenza è stata fissata dall'Anac al 15 aprile. Da quel momento le stazioni appaltanti non potranno più nominare in casa i commissari incaricati di valutare le offerte delle imprese, ma dovranno rivolgersi agli esperti estratti a sorteggio in una rosa di nomi contenuti nell'elenco gestito dagli uomini di Cantone. L'idea di base è quella di spezzare le catene di ambiguità che spesso si creano tra funzionari della Pa e imprese, con rischi in teoria accresciuti dall'aumento di discrezionalità nei criteri di aggiudicazione delle gare. Il sistema, messo in pedi a fatica anche per l'opposizione di grandi e piccole stazioni appaltanti, avrebbe dovuto essere già operativo dallo scorso gennaio. Ma alla fine è arrivata la proroga a causa dell'esiguo numero di professionisti iscritti all'elenco (all'epoca circa 2.200) che avrebbe messo a rischio la possibilità di celebrare le gare, mandando in tilt un mercato già sufficientemente in crisi.

Impigliato nel balletto di pareri è rimasto anche il decreto che avrebbe dovuto definire i nuovi livelli di progettazione delle opere pubbliche. E resterebbe da fare la conta anche degli altri provvedimenti (in tutto 33) che ancora attendono il varo. Ma all'alba della nuova riforma annunciata dal Governo, forse l'idea perde senso. Anche a Porta Pia, dove veniva aggiornata la conta dei decreti, si sono evidentemente stancati e, dallo scorso marzo, hanno gettato la spugna.