Appalti, nell'affitto di ramo d'azienda va dimostrata l'«autonomia organizzativa»

 

Il Tar Lombardia contro il comune di Milano che non ha verificato i contenuti del contratto. I giudici: l’impresa doveva essere esclusa

Se non viene a crearsi una «entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento di una attività volta alla produzione di beni e servizi» non si può parlare di affitto di ramo d’azienda valido ai fini dell’espletamento di un appalto pubblico. 
È questo il verdetto del Tar Lombardia - con la pronuncia n.2546/2018 - che è costato all’impresa l’annullamento dell’aggiudicazione definitiva di un appalto integrato da oltre 20 milioni di euro. Si tratta, più precisamente dell’appalto mandato in gara dalla città metropolitana di Milano per la “progettazione esecutiva e realizzazione dei lavori di riqualifica e potenziamento della strada provinciale ex SS. 415 «Paullese», 2° Lotto, 1° stralcio, tratto «A»”, un appalto del valore a base d’asta pari a 22,741 milioni, che l’impresa si è aggiudicata offrendo poco più di 16,52 milioni di euro. Il Tar Lombardia ha inoltre disposto il subentro a favore del secondo classificato (un Rti guidato dall’impresa Turchi Cesare), che aveva anche promosso il contenzioso di fronte al giudice di primo grado. 

Secondo quanto riporta la pronuncia del Tar, l’impresa aggiudicataria aveva stipulato un contratto di affitto di ramo d’azienda allo scopo di dimostrare il possesso del requisito di fatturato del migliore quinquennio (che il bando indicava in 56,385 milioni di euro). Sempre da quanto emerge dalla sentenza, il contratto tra i due operatori prevedeva «la consegna della documentazione per comprovare i requisiti posseduti che consentiranno di ottenere l’attestazione Soa», oltre ad alcuni beni (una «baracca», una «pompa varisco», un «laser», tre «ventose», e un miniescavatore). Tuttavia, secondo i giudici «il contratto stipulato tra Gi.Ma.Co. (aggiudicataria, ndr) e Lucchini Artoni (impresa locatrice, ndr), a dispetto del nomen iuris adoperato dalle parti, non può essere qualificato come affitto di ramo d’azienda» .

Il contratto, spiegano i giudici, «non ha ad oggetto il trasferimento di un complesso di beni che oggettivamente si presenta quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento di un'attività volta alla produzione di beni o servizi, limitandosi a contemplare - oltre alla consegna della documentazione sopra indicata - la consegna di alcuni beni (in tutto solo sette) che risultano trasferiti nella loro autonoma individualità, come se fossero oggetto di un contratto di noleggio di mezzi e attrezzature o altre analoghe tipologie contrattuali, anziché essere trasferiti nella loro funzione unitaria e strumentale in quanto destinati all'esercizio dell'impresa, come sarebbe invece necessario ai fini della configurabilità di un contratto di affitto di ramo di azienda». «In altri termini - concludono i giudici - la lettura del contratto non consente di ritenere che, al di là della cessione dei singoli beni sopra individuati, le parti abbiano convenuto il trasferimento in affitto di un vero e proprio ramo d'azienda quale sotto-organizzazione intesa nel suo complesso». 

LA PRONUNCIA DEL TAR LOMBARDIA 

Occorre aggiungere inoltre che l’impresa locataria era in stato di liquidazione e che il via libera al contratto di cessione di ramo d’azienda è stato disposto dal giudice delegato della procedura di concordato. Queste circostanze, tuttavia - cioè l’autorizzazione del giudice e il parere favorevole del commissario giudiziale - non sono rilevanti, in quanto «rispondono a finalità del tutto estranee alla verifica del possesso dei requisiti di partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica». La verifica del possesso dei requisiti, è un compito che spetta invece alla stazione appaltante che però, in questo caso, non ha lavorato bene. Infatti, concludono i giudici, la stazione appaltante invece di aggiudicare l’appalto - prima in via provvisoria e poi confermandolo con l’aggiudicazione definitiva - avrebbe dovuto escluderla dalla gara «in quanto priva del relativo requisito» (cioè la cifra d’affari).