Le quote ATI tra diritto interno e diritto europeo: l'incompatibilità UE dei limiti di legge generali e astratti

 Corte di Giustizia UE, 28 aprile 2022, C-642/20 – TAR Lazio, Roma, sez. III, 23 maggio 2022, n. 6628 – Consiglio di Stato, sez. V, ordinanza 18 maggio 2022, n. 3942 – Consiglio di Stato, sez. VI, 31 maggio 2022 n. 4425

 Secondo la Corte di Giustizia UE, l’art. 83, comma 8, del Codice dei contratti pubblici – che, come noto, impone in ogni caso alla mandataria di un raggruppamento temporaneo di imprese di possedere i requisiti previsti nel bando di gara ed eseguire le prestazioni di tale appalto in misura maggioritaria, è incompatibile con i principi del diritto europeo vigenti in materia e, in particolare, con l’articolo 63 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014 (cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea 28 aprile 2022, C-642/20, cd. “sentenza Caruter”).

Tale pronuncia impatta in modo significativo su di un principio radicato da diversi anni nella legislazione italiana in tema di regolamentazione degli RTI, nell’ottica di una coerente ed effettiva tutela dei principi concorrenziali e della correlata libertà di forme e di organizzazione degli operatori economici, da sempre sancita e promossa a livello di normazione UE, e si pone in evidente continuità con i rilievi e le pronunce della Commissione UE e della stessa Corte di Giustizia sulla incompatibilità dei limiti quantitativi ed astratti fissati dal legislatore interno rispetto ai principi e alle direttive eurounitarie in materia di contratti pubblici.

Il suddetto indirizzo tracciato dalla Corte europea anche in tema di ATI ha trovato da subito riscontro in talune recenti pronunce della giurisprudenza amministrativa che, in tal senso, ha disposto la disapplicazione della norma italiana in conformità a quanto acclarato dal Giudice europeo.

 

1. Premesse

Con una pronuncia certamente impattante in termini di accesso e qualificazione degli operatori economici raggruppati nell’ambito degli affidamenti dei contratti pubblici, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (C.G.U.E.) ha inferto un nuovo, significativo colpo alle fondamenta della politica legislativa seguita dal legislatore italiano, sotto tali profili, nel recepimento delle norme europee in materia.

Nella specie, la sancita incompatibilità, rispetto ai principi e alle norme UE, dell’apposizione di limiti generali e astratti, da parte della legge italiana, nella regolamentazione delle quote da assumere da parte degli operatori economici in caso di partecipazione aggregata a una gara d’appalto pubblico – nella specie, il vincolo imposto alla mandataria di assumere una quota maggioritaria nel possesso dei requisiti e della esecuzione delle prestazioni contrattuali – non è che l’ultimo segnale inviato dalle istituzioni europee in ordine al frequente e illegittimo ricorso, da parte del nostro legislatore, a parametri e vincoli di carattere rigidamente aprioristico e meramente quantitativo, a scapito della contendibilità degli affidamenti e della stessa efficienza e qualità degli strumenti approntati per la messa in opera delle commesse pubbliche.

Peraltro, su tale fronte, va detto che la giurisprudenza interna si è dimostrata particolarmente solerte e sensibile nell’attuazione dei principi sanciti dalle pronunce del Giudice europeo, mettendo ancora più in luce il ritardo in cui è occorso il legislatore interno il quale, al cospetto di siffatte operazioni ermeneutiche di taglio marcatamente sostanzialistico, ha mostrato invece, di frequente, limiti di approccio e di intervento e ha incontrato diverse difficoltà nel rimuovere – per tempo e in toto – talune letture e applicazioni degli istituti giuridici rivelatesi nel tempo formalistiche e inadeguate.

2. La sentenza della Corte di Giustizia UE 28 aprile 2022, C-642/20

2.1 Il caso di specie e la vicenda processuale innanzi al Giudice amministrativo italiano

Il Giudice europeo è stato chiamato a pronunciarsi nell’ambito di una controversia originata da  una procedura aperta suddivisa in 3 lotti e indetta per l’affidamento dei servizi di spazzamento, raccolta e smaltimento di rifiuti solidi urbani e altri servizi di igiene urbana in 33 comuni di una provincia siciliana, ai sensi del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 e s.m.i., recante il Codice dei contratti pubblici.

Nella fattispecie, all’esito delle operazioni di gara esperite per l’assegnazione del secondo lotto, l’ATI seconda classificata (mandataria Caruter) impugnava l’aggiudicazione disposta dalla stazione appaltante in favore dell’ATI prima classificata (mandataria Pippo Pizzo), innanzi al TAR Sicilia, Catania, lamentando l’illegittimità di questo provvedimento con particolare riferimento all’avvenuta attestazione dei requisiti prescritti in gara, da parte della mandataria del raggruppamento primo classificato, integralmente ed esclusivamente mediante avvalimento, ex art. 89 del Codice dei contratti pubblici, dei requisiti della mandante del raggruppamento stesso, e ciò, a parere del detto RTI secondo classificato, in aperto contrasto con la previsione di cui all’art. 83, comma 8, del Codice suddetto. Tale norma, come noto, stabilisce infatti che, ove a una procedura di gara indetta per l’affidamento di un contratto pubblico concorra un raggruppamento temporaneo di imprese, “La mandataria in ogni caso deve possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria”.

A fronte di siffatte censure, L’ATI prima classificata, a sua volta, proponeva ricorso incidentale avverso l’ammissione alla procedura di gara del raggruppamento ricorrente in via principale.

Con sentenza n. 3150/2019, il TAR Catania dirimeva in primo grado la controversia de qua, accogliendo il ricorso in via principale dell’ATI seconda classificata e, in linea con le argomentazioni di quest’ultima, rimarcando all’uopo che “l’avvalimento infragruppo o interno è (certamente) possibile (ma) a condizione e sino a che non si alteri la regola secondo cui la mandataria deve “in ogni caso” possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria. (…). Con la precisazione che una simile regola è destinata ad integrare i bandi e i capitolati di gara, quand’anche non sia espressamente riprodotta”. Al contempo, la stessa pronuncia accoglieva altresì il ricorso incidentale promosso dall’ATI prima classificata, disponendo l’annullamento del provvedimento di ammissione alla procedura di gara del RTI ricorrente principale (cfr. TAR Sicilia, Catania, sez. IV, 30 dicembre 2019, n. 3150).

Entrambe le ATI si determinavano poi a contestare in appello la predetta sentenza del TAR Catania, impugnandola innanzi al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana (C.G.A.R.S.). Deve in proposito precisarsi che, in sede di gravame, l’ATI prima classificata (e ricorrente incidentale in primo grado):

  • rivendicava, in capo a un RTI, la legittimità di ricorrere al cd. “avvalimento infragruppo” senza alcuna limitazione, giusta quanto previsto dall’art. 89, comma 1, del Codice dei contratti pubblici e in recepimento dell’art. 63, paragrafo 1, comma 3, della direttiva 2014/24/UE;

  • esortava il Giudice dell’appello, ove occorrente, a sottoporre una questione interpretativa alla Corte di giustizia UE in ordine alla compatibilità dell’art. 83, comma 8, terzo periodo, del Codice suddetto rispetto al citato art. 63, paragrafo 1, comma 3, della direttiva 2014/24/UE.

Nella cornice processuale appena delineata, il C.G.A.R.S. si risolveva infine a rimettere la questione, in via pregiudiziale, al vaglio della Corte di Giustizia UE (cfr. C.G.A.R.S., ordinanza 24 novembre 2020, n. 1106).

2.2 Le ragioni poste alla base del rinvio pregiudiziale operato dal Giudice nazionale

Nel sottoporre in via pregiudiziale la questione al Giudice europeo, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana ha evidenziato che le disposizioni dettate dal legislatore interno in materia di avvalimento (ex art. 89, comma 1, del D.Lgs. n. 50/2016) e di requisiti di qualificazione degli operatori economici raggruppati (ex art. 83, comma 8, terzo periodo, del D.Lgs. n. 50/2016) potrebbero dar luogo ad un’antinomia e, per tale ragione, necessitano di essere divisate dalla Corte di Giustizia UE alla luce della normativa europea di riferimento.

Infatti, come anticipato dianzi:

  • da un lato, l’art. 89, comma 1, del Codice dei contratti pubblici ammette in via generale la possibilità per un operatore economico (cd. “avvalente”) di soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti attestanti le occorrenti capacità economico-finanziaria e tecnico-professionale per il tramite di un altro operatore economico (cd. “ausiliario”); ciò anche qualora quest’ultimo sia componente del medesimo raggruppamento e indipendentemente dalla natura giuridica dei legami intercorrenti tra detti soggetti. Sul punto, vale rammentare che questo istituto, di matrice europea e finalizzato a garantire il principio eurounitario di favor partecipationis, costituisce uno strumento di portata generale che, a tale scopo, tempera il principio secondo cui ogni concorrente ad una gara pubblica deve essere dotato in proprio dei requisiti di qualificazione necessari e richiesti dalla stazione appaltante;

  • dall’altro, l’art. 83, comma 8, terzo periodo, del citato Codice dispone che, nell’ambito di un raggruppamento temporaneo di imprese, la mandataria deve in ogni caso possedere i requisiti di partecipazione ed eseguire le prestazioni di contratto in misura maggioritaria. Come noto, siffatta previsione di legge costituisce un principio generale radicato da tempo nella legislazione italiana – si vedano le previsioni di identico tenore contenute nel quadro normativo previgente in materia di cui al D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e nel relativo regolamento di attuazione di cui al DPR 5 giugno 2010, n. 207 (art. 275) – e appare mirata a soddisfare l’esigenza di “(…) assicurare che l’impresa mandataria, per il ruolo che detiene all’interno del raggruppamento e la posizione di responsabilità che riveste nei confronti della stazione appaltante, assuma una funzione di garanzia della corretta esecuzione dell’appalto, quale il legislatore ha ritenuto che possa riposare solo sul suo concorso principale alla dimostrazione dei requisiti di partecipazione ed alla esecuzione della prestazione richiesta dalla stazione appaltante” (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, 1 luglio 2020, n. 4206).

Ciò posto, a fronte del possibile contrasto interpretativo sussistente tra le dette disposizioni di legge, il C.G.A.R.S. ha dunque ritenuto “necessaria e rilevante” per la risoluzione della controversia la sottoposizione alla Corte di giustizia dell’Unione europea della seguente questione pregiudiziale: “Se l’articolo 63 della direttiva 2014/24 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, relativo all’istituto dell’avvalimento, unitamente ai principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), osti all’applicazione della normativa nazionale italiana in materia di “criteri di selezione e soccorso istruttorio” di cui all’inciso contenuto nel penultimo periodo del comma 8 dell’art. 83 del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, nel senso che in caso di ricorso all’istituto dell’avvalimento (di cui all’articolo 89 del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50), in ogni caso la mandataria deve possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria” (C.G.A.R.S., ordinanza 24 novembre 2020, n. 1106, cit.).

2.3 La decisione della Corte di Giustizia UE sulla questione pregiudiziale

In ragione di quanto sopra, i giudici della Corte del Lussemburgo hanno chiarito anzitutto che il menzionato principio di legge ex art. 83, comma 8, del Codice, nell’imporre in ogni caso alla mandataria di un raggruppamento di operatori economici il vincolo del possesso dei requisiti e dell’esecuzione delle prestazioni in misura maggioritaria rispetto a tutti i membri del raggruppamento stesso, “(…) fissa una condizione più rigorosa di quella prevista dalla direttiva 2014/24”.

In tal senso, peraltro, la norma in esame va sussunta nel novero delle molteplici disposizioni introdotte nel nuovo Codice dei Contratti Pubblici che si rivelano confliggenti altresì con il criterio direttivo di cui all’art. 1, comma 1, lettera a), della legge delega n. 11/2016, il quale, come noto, sancisce il divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive comunitarie (cd. “divieto di gold plating”); sicché il citato art. 83, comma 8, del Codice è comunque suscettibile di essere dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione dei criteri direttivi di delega, sotto il profilo appena evidenziato.

Fermo quanto sopra, sul piano eurounitario il Giudice europeo ha poi segnalato come l’art. 63 della direttiva 2014/24/UE – dopo aver enunciato la facoltà, riconosciuta a un operatore economico in via generale, di servirsi dei requisiti di altre imprese per partecipare ad una procedura di gara attraverso il ricordato istituto dell’avvalimento – si limiti esclusivamente a precisare che, in determinati casi di affidamento di contratti pubblici, le amministrazioni aggiudicatrici possono esigere che taluni “compiti essenziali” siano svolti direttamente dall’offerente o, nel caso di raggruppamenti temporanei di imprese, da un partecipante al raggruppamento.

Di modo che l’imposizione del suddetto vincolo ex art. 83, comma 8, del Codice, così come strutturato attualmente dal legislatore italiano in modo aprioristico e generalizzato, non può che porsi in contrasto con le previsioni europee in materia. In altre parole, ha puntualizzato la Corte europea, “la volontà del legislatore dell’Unione (…) consiste nel limitare ciò che può essere imposto a un singolo operatore di un raggruppamento, seguendo un approccio qualitativo e non meramente quantitativo, al fine di incoraggiare la partecipazione di raggruppamenti come le associazioni temporanee di piccole e medie imprese alle gare di appalto pubbliche”.

Per tali ragioni, la C.G.U.E. ha affermato il seguente principio di diritto:

“L’articolo 63 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale secondo la quale l’impresa mandataria di un raggruppamento di operatori economici partecipante a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico deve possedere i requisiti previsti nel bando di gara ed eseguire le prestazioni di tale appalto in misura maggioritaria”.

 

3. Le recenti pronunce del Giudice amministrativo italiano in attuazione del principio sancito dalla Corte di Giustizia UE in materia di RTI

A seguito della suddetta pronuncia della Corte di Giustizia UE, la giurisprudenza nazionale non ha tardato ad applicare il principio europeo ivi sancito, in più di una occasione.

In particolare – in disparte la risoluzione della controversia che ha dato origine a tale pronuncia, per cui l’udienza pubblica risulta attualmente fissata dinanzi al C.G.A.R.S. per il 12 ottobre 2022 – di recente si sono potuti registrare i primi arresti giurisprudenziali che hanno dato attuazione all’orientamento espresso dal Giudice europeo in tema di RTI, ad opera del TAR Lazio e del Consiglio di Stato.

In primis, investito di una questione attinente per l’appunto alla ripartizione dei requisiti prescritti per un affidamento pubblico in caso di raggruppamenti, il TAR Lazio ha respinto il ricorso di una società che contestava la previsione del bando di gara tesa a imporre, tra l’altro, il possesso di un determinato requisito interamente in capo alla mandataria dell’ATI (TAR Lazio, Roma, sez. III, 23 maggio 2022, n. 6628).

Alla stregua di quanto specificato dal TAR adito, infatti, le stazioni appaltanti e, più in generale, gli enti aggiudicatori godono di ampia discrezionalità in ordine alla fissazione dei requisiti speciali di capacità tecnica e professionale e, nel caso di specie, l’amministrazione aveva richiesto alla mandataria il possesso integrale di un solo requisito di carattere esperienziale ritenuto essenziale ai fini dell’esecuzione dell’appalto. “Ciò risulta coerente con il dettato normativo eurounitario (…). La limitazione contenuta nella lex specialis risulta essere il portato del legittimo esercizio della discrezionalità riservata alle amministrazioni aggiudicatrici dal legislatore eurounitario che, nel limitare ciò che può essere imposto a un singolo operatore economico facente parte di un raggruppamento di imprese, ha seguito un approccio di tipo qualitativo e non meramente quantitativo” (TAR Lazio, sez. III, 23 maggio 2022, n. 6628, citato).

Deve poi annoverarsi l’intervento del Consiglio di Stato, in due diverse occasioni, concernenti invece il possesso in misura paritaria delle quote di partecipazione di alcuni operatori economici a un raggruppamento concorrente a una procedura di affidamento di contratti pubblici, e segnatamente nell’ambito di un’ATI orizzontale e di un’ATI mista.

In un primo caso, il Supremo Consesso è stato adito per decidere sull’impugnazione di una sentenza resa dal TAR Lombardia (sez. IV, 30 dicembre 2020, n. 2641), il quale aveva disposto l’annullamento di un’aggiudicazione a favore di una costituenda ATI, che si caratterizzava per la percentuale paritaria di partecipazione al raggruppamento tra mandataria e mandante e per l’assenza di un esplicito impegno della mandataria a realizzare in misura maggioritaria le prestazioni inerenti al servizio oggetto di affidamento – in difformità, dunque, a quanto previsto dall’art. 83, comma 8, terzo periodo, del D.Lgs. n. 50/2016. Al riguardo, dopo aver trattenuto in decisione la controversia, i giudici di Palazzo Spada hanno emesso un’ordinanza in cui, rilevando l’influenza della decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea in analisi per la decisione delle doglianze dell’appellante, hanno ritenuto opportuno assegnare alle parti un congruo termine per il deposito di memorie sulla specifica questione prospettata e fissare pertanto una nuova udienza pubblica (Consiglio di Stato, sez. V, ordinanza 18 maggio 2022, n. 3942).

Lo stesso Consiglio di Stato, sempre in riferimento alla questione del possesso di quote di un RTI in misura paritaria da parte dei relativi componenti, si è pronunciato successivamente per dirimere un’altra controversia sorta in proposito, stavolta nell’ambito di un raggruppamento di tipo misto (Consiglio di Stato, sez. VI, 31 maggio 2022, n. 4425).

Nella fattispecie, il Supremo Consesso ha applicato in via diretta e immediata il principio di diritto affermato dalla citata sentenza della C.G.U.E. del 28 aprile u.s., affermando che siffatta pronuncia rileva senza dubbio qualora, nel contesto di un’ATI di tipo misto, vengano indicate in capo ad alcune mandanti quote di esecuzione di una determinata prestazione di misura paritaria. In questo caso, difatti, come ricordato dal Consiglio di Stato, per una delle prestazioni secondarie oggetto di affidamento le imprese mandanti indicavano quote di esecuzione pari al 50% e:

  • secondo una lettura maggiormente formalista, ciò avrebbe dovuto condurre all’esclusione dell’intero raggruppamento, poiché la ripartizione della prestazione secondaria tra più imprese comporta invero la creazione di un sub-raggruppamento orizzontale che deve seguire la regola generale dell’art. 83, comma 8, del Codice, con conseguente identificabilità di un operatore economico mandatario;

  • secondo un differente indirizzo, invece, una ripartizione in misura paritaria di una prestazione secondaria non avrebbe potuto determinare l’esclusione del raggruppamento, in assenza di una espressa e specifica previsione della lex specialis di gara e sempre che le imprese fossero in possesso dei requisiti di partecipazione necessari per eseguire le prestazioni (così TAR Veneto, sez. II, 24 gennaio 2022, n. 161; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 14 dicembre 2020, n. 2881).

Ciò posto, al riguardo il Consiglio di Stato ha stabilito che, alla luce del principio di diritto espresso di recente dalla Corte di Giustizia UE con la sentenza del 28 aprile 2022, è da preferire e avvalorare questo secondo orientamento.

 

4. Riflessioni e rilievi critici sulla portata e sugli effetti della pronuncia della Corte di Giustizia UE

Le indicazioni scaturite dal suddetto indirizzo giurisprudenziale di matrice eurounitaria in materia di qualificazione ed esecuzione dei contratti pubblici, con particolare riguardo alla ripartizione di quote all’interno degli operatori economici raggruppati, costituiscono una ulteriore e significativa tappa della specifica disciplina di riferimento sulla strada di un più coerente e compiuto allineamento della normativa interna ai principi UE ad essa sovraordinati.

Non può non ricordarsi sul punto un precedente di assoluto momento, ovverosia la pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 28 agosto 2014, n. 27, che ha statuito, per gli appalti pubblici di servizi e forniture, l’insussistenza dell’obbligo di necessaria corrispondenza tra la qualificazione di ciascuna impresa e la quota della prestazione di rispettiva pertinenza, affidando la relativa disciplina a eventuali, specifiche prescrizioni da stabilirsi con la lex specialis di gara in ragione del caso concreto e delle esigenze allo stesso sottese che caratterizzano ciascun affidamento. Ciò nella precipua finalità di assicurare la più ampia accessibilità e partecipazione degli operatori economici sul mercato delle commesse pubbliche anche tramite il ricorso alla forma raggruppata, quale ulteriore strumento di facilitazione in tal senso, e quindi di rimuovere gli ostacoli normativi che ne potrebbero rendere meno agile e/o attrattivo l’utilizzo.

Orbene, a questa stessa finalità pare oggi connetersi la succitata sentenza della Corte di Giustizia

dell’Unione europea, volta difatti a rimuovere i limiti generali ed astratti prescritti storicamente dal legislatore italiano in capo alle imprese raggruppate nella regolamentazione delle quote di qualificazione ed esecuzione dei contratti pubblici, attraverso il vincolo della misura maggioritaria di tali quote richiesta all’operatore economico che assuma il ruolo di mandataria nell’ambito di un’ATI.

Tanto precisato, è del tutto evidente – come del resto già dimostrano le prime pronunce emesse dal Giudice amministrativo italiano a seguito del principio acclarato in sede europea, nei termini appena riportati – l’incidenza rilevante e diffusa che altresì l’intervento della Corte di Giustizia UE qui disaminato è destinato ad assumere, attenendo a un aspetto assai sensibile e strategico delle regole di partecipazione alle gare e di esecuzione dei contratti pubblici che interessano gli operatori economici raggruppati.

Il principio di diritto espresso dai Giudici del Lussemburgo, infatti, pone in discussione – rectius nel nulla – uno dei canoni storici della disciplina normativa italiana in tema di RTI, ovverosia quello sancito dal menzionato art. 83, comma 8, terzo periodo, del Codice dei contratti pubblici, ed esige in via d’urgenza non soltanto un profondo ripensamento della disciplina medesima, bensì anche una conseguente riforma delle norme interessate sotto tale profilo.

In proposito, d’altronde, è appena il caso di rammentare che le pronunce rese dalla Corte di Giustizia UE in merito alla compatibilità delle disposizioni di legge degli Stati membri rispetto ai principi e alle previsioni delle direttive UE vigenti nel settore di riferimento hanno portata vincolante e spiegano i propri effetti non soltanto nei confronti del Giudice che ha sollevato la questione pregiudiziale, ma anche rispetto a qualsiasi altra controversia da dirimere in applicazione della medesima disposizione interpretata dalla Corte.  Segnatamente, vale rimarcare che, alla stregua di quanto acclarato dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione, “Le statuizioni interpretative della Corte di giustizia delle comunità europee hanno, al pari delle norme comunitarie direttamente applicabili, operatività immediata negli ordinamenti interni” (cfr., ex pluribus, Corte Cost., 29 ottobre 2015, n. 210; id., 7 febbraio 2000, n. 41; id., 10 novembre 1994, n. 384; id., 16 marzo 1990, n. 132) e hanno efficacia ultra partes, con “(…) valore di ulteriore fonte di diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, in quanto ne indicano il significato e limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità” (Corte di Cassazione, sez. V, 11 dicembre 2012, n. 22577; id., 2 marzo 2005, n. 4466; id., 30 aprile 2004, n. 17350).

Fermo quanto sopra, più in generale, è d’uopo rilevare che, con la sentenza in commento, il Giudice europeo è intervenuto ancora una volta per rilevare l’incompatibilità, rispetto ai principi e alle direttive UE vigenti, dei limiti quantitativi imposti dal legislatore interno nel recepimento e nell’attuazione della normativa eurounitaria in materia di contratti pubblici, stigmatizzando il ricorso a prescrizioni e limiti di legge di carattere aprioristico e meramente quantitativo, come ad esempio in tema di subappalto.

Valga richiamare, sul punto, la sentenza pronunciata dalla C.G.U.E.  nel 2016 con riferimento alla legislazione polacca, secondo cui “(…) una clausola che impone limitazioni al ricorso a subappaltatori per una parte dell’appalto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso, e ciò a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale delle prestazioni di cui si tratta, è incompatibile con la direttiva 2004/18/CE” (Corte di Giustizia UE, 14 luglio 2016, Wroclaw, C-406/14).

Nel solco di tale pronuncia, come noto, anche il legislatore italiano è risultato destinatario di diversi rilievi mossi dalla Commissione europea e dal suddetto Giudice Europeo, anzitutto con particolare riguardo ai limiti generali e quantitativi previsti in materia di subappalto dall’art. 105 del Codice dei contratti pubblici, sia nel suo assetto originario – che limitava di fatto il ricorso al subappalto a una quota massima del 30% dell’importo del contratto – che in quello emendato dal cd. “Decreto Sblocca Cantieri” (D.L. n. 32/2019, conv. con mod. in legge n. 55/2019) – che aveva poi innalzato, temporaneamente, detto limite prima al 50% e poi al 40%.

Nella specie, giova richiamare in proposito la lettera di messa in mora del 24 gennaio 2019 inviata dalla Commissione europea all’indirizzo del Governo italiano, nonché le sentenze della Corte di Giustizia UE cd. “Vitali” (26 settembre 2019, C-63/18) e cd. “Tedeschi” (27 novembre 2019, C- 402/18), con cui sono stati rilevati molteplici profili di incompatibilità della disciplina italiana rispetto ai principi e alle disposizioni stabilite dal legislatore UE. In tema di subappalto, per mezzo delle succitate pronunce del 2019 la C.G.U.E. ha ribadito che l’imposizione di un limite generale, astratto e quantitativo non poteva essere considerato conforme al quadro regolatorio euro-unitario in materia di affidamento di contratti pubblici, a prescindere dal limite percentuale concretamente imposto (30%, 40% o 50%).

Peraltro, proprio in relazione al detto limite di legge e alla finalità di contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata ad esso sottesa – finalità su cui si fondano, in sostanza, le argomentazioni di diritto interno volte a perorare la legittimità di tale limitazione – la citata sentenza “Tedeschi” del 27 novembre 2019 ha offerto indicazioni di indubbio rilievo e interesse, precisando che “(…) anche supponendo che una restrizione quantitativa al ricorso al subappalto possa essere considerata idonea a contrastare siffatto fenomeno, una restrizione come quella oggetto del procedimento principale eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo”. In quest’ottica, il Giudice europeo ha così rimarcato il carattere sproporzionato e, di conseguenza, il vizio di incompatibilità della scelta operata in materia dal legislatore interno nel perseguire un fine, sia pur legittimo, quale quello del contrasto alla criminalità organizzata.

Secondo quanto accertato dalla Corte UE con le sentenze di cui sopra, infatti, ben avrebbe potuto il legislatore nazionale perseguire lo stesso fine mediante misure meno restrittive, ma ugualmente idonee a perseguire l’esigenza di tutela della legalità e dell’ordine pubblico negli appalti.

Tanto chiarito, in coerenza con gli argomenti e gli indirizzi appena richiamati, anche la sentenza della C.G.U.E. del 28 aprile 2022 mira a contrastare la scelta del legislatore nazionale di prescrivere in via generale e astratta un vincolo meramente quantitativo che si declina, in questo caso, nell’assegnazione di un ruolo comunque maggioritario e dominante alla mandataria nell’ambito di un RTI, ritenendo la stessa Corte ingiustificata la ragione – e la correlata esigenza – all’uopo addotta di affidare in tal modo un ruolo “di garanzia” alla impresa capogruppo nei confronti della P.A.

Alla stregua della disamina condotta dalla Corte UE, il legislatore italiano avrebbe dunque dovuto lasciare libera la singola stazione appaltante, nell’ambito della sua discrezionalità e in rapporto al caso concreto, di prevedere di volta in volta, per ciascun affidamento, se e come riservare una parte della commessa a uno dei soggetti raggruppati, in caso di partecipazione plurisoggettiva.

Da siffatta statuizione emerge perciò, nuovamente, la preferenza accordata dalla Corte europea  a una impostazione pragmatica e proporzionale, mediante l’approntamento di prescrizioni che consentano di calibrare istituti e strumenti giuridici in ragione delle esigenze e delle circostanze specifiche che caratterizzano ciascun contratto pubblico da affidare , senza operare scelte astratte e rigide che potrebbero, al contrario, non garantire la corretta ed efficace attuazione dei suddetti principi europei che presidiano l’apertura al mercato, il confronto concorrenziale e la qualità delle prestazioni da acquisire. E, a fronte di tali fini, l’esigenza di salvaguardare altre finalità asseritamente superiori (la lotta alla criminalità organizzata per il subappalto, ovvero l’esigenza di tutela della stazione appaltante nell’ambito di una partecipazione plurisoggettiva in raggruppamento da parte del concorrente) non può certo superare limiti di ragionevolezza e proporzionalità, vieppiù attraverso la strutturazione di norme interne volte a prescrivere limiti generali e aprioristici.

Del resto, volendo dar seguito al ragionamento svolto dalla Corte di Giustizia con le pronunce sopra richiamate, la valutazione del caso concreto affidata alla stazione appaltante per l’eventuale imposizione di specifici vincoli e limiti all’uopo occorrenti – comunque presidiati dai principi e parametri fissati dal legislatore in materia – se da un lato pare agevolare una migliore applicazione dei principi medesimi, dall’altro resta pur sempre sindacabile da parte del Giudice amministrativo, quantomeno in termini di logicità, istruttoria e ragionevolezza, così offrendosi in ogni caso un livello adeguato di tutela agli operatori economici interessati.

Può dunque concludersi per la obiettiva sussistenza di un fil rouge che lega le pronunce della Corte di Giustizia UE tese a censurare i limiti generali e astratti fissati dal legislatore italiano in materia di subappalto e di RTI.

Peraltro, a questo proposito, non può non rilevarsi come nella sentenza qui in commento il Giudice europeo si sia spinto in parte oltre il limite del quesito posto dal giudice del rinvio – che risultava invero limitato al caso dell’avvalimento integrale di un requisito in caso di partecipazione in raggruppamento – approdando così a stigmatizzare l’incompatibilità del detto limite quantitativo interno rispetto alla normativa europea, sia in caso di avvalimento del requisito che in caso di partecipazione al raggruppamento con possesso in proprio del requisito.

È lecito quindi domandarsi altresì in siffatta circostanza – proprio come avvenuto con riguardo alle note sentenze gemelle dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nn. 17 e 18 del 2021 in tema di concessioni demaniali marittime – se un giudice nomofilattico, interno o europeo, quantunque autorevole, possa spingersi a pronunciarsi oltre il limite del quesito posto dal giudice rimettente, giungendo in tal modo a svolgere un funzione stricto sensu regolatoria, quando non legislativa, lasciando così margine a qualche perplessità in punto di conformità ai principi e alle regole processuali.

La questione in esame denuncia in ogni caso la stagnante crisi che pare affliggere negli ultimi tempi la funzione legislativa, dimostratasi sovente intempestiva e insufficiente nel suo esercizio concreto – complici le gravi e straordinarie crisi e congiunture sanitarie, economiche e sociali che si sono susseguite e sovrapposte in questi anni – con tutto ciò che ne consegue anche in termini più ampi di crisi della rappresentatività e abdicazione del ruolo che sarebbe proprio del legislatore nell’ambito della separazione dei poteri dello Stato.

Senza dubbio, il principio espresso da ultimo dalla Corte di Giustizia UE in materia di quote di qualificazione ed esecuzione dei componenti dei RTI, quale da subito attuato anche dal Giudice amministrativo italiano, esige comunque una risposta quanto mai tempestiva e adeguata da parte del legislatore interno, anzitutto in termini di chiarezza e coerenza della disciplina interessata, onde assicurare agli operatori del settore istituti e strumenti giuridici effettivamente fruibili ed efficaci.